Si racconta che:
Nel 400, una besta immensa e immonda, forse una balena, lunga oltre trenta braccia, si arenò sui bassi fondali della costa porticese. I miasmi sparsi dalla carcassa appestarono l'aria per quaranta giorni. L'area vesuviana piace ai grandi cetacei: quasi cinque secoli dopo, durante la prima guerra mondiale, una balenottera andò a morire sul lido della Bagnara.

Nel 1543, il francescano Angelo Palea annotò che uno zucchero prodotto da un albero che lo fornisce bello e preparato, sgocciolava spontaneamente dai frassini di Portici alta, agglutinando per modo l'erba dei prati degli agricoltori porticesi. Era la biblica manna.

Nel 1580, nei fascicoli del Santo Officio dell'inquisizione, relativi a quest'anno ed al successivo, figura un processo contro alcuni contadini di Portici. Non si sa come finì, né qual era la colpa attribuita ai nostri vignaioli. Allora si finiva alla sbarra e magari al rogo molto facilmente. Due torresi, più o meno nello stesso periodo, furono giustiziati per aver cercato, peraltro senza successo, un tesoro sotto la torre di Bassano. Come rabdomanti, avevano usato un'asticesso biforcuta di legno, ritenuta simbolo demoniaco.

Nel 1594, giocando al ventuno, una specie di morra, alcuni pescatori e pastori porticesi vennero selvaggiamente alle mani. I feriti furono oltre cento, in conseguenza di colpi di remo, bastone, ancorotto e mazza da grano. L'odio fra uomini di mare e di pascolo durò quasi tre anni, finchè il pescatore Ciro Bellamo, nelle acque del Granatello, salvò a costo della propria vita il figlio di un pastore, che stava per annegare. E pace fu.

Nel 1600, l'ornitologo Aldovrandi si soffermò nel bosco marittimo di Portici a osservare i nidi degli uccelli fornai, simili a palloni. L'ingresso era costituito da un'apertura ad arco, simile al portale di una chiesa, dalla quale si accedeva ad un corridoio circolare che portava al nido, rivestito da una soffice imbottitura di piume.

Nel 1631, dopo l'eruzione nel mare porticese spuntarono dieci bestioni marini lucidi e neri, forse capodogli, che dopo la battaglia con i marosi si arenarono sui bassi fondali. Alcuni cedettero di vedere l'immagine di San Gennaro in un raggio di sole che trapassava la nube di cenere.

Nello stesso anno, fra tante rovine, restò in piedi sulla Regia strada una forca di legno per appendere i briganti. Lo storico torrese Francesco Balzano commentò l'episodio sostenendo che la giustizia terrena è immagine della Divina. Ma i patiboli non hanno mai niente di divino e la pena di morte, come riaffermava continuamente papa Wojtyla, è un obbrobrio che va cancellato dalle leggi degli uomini.L'aneddoto serve, comunque, a ricordare che nel Seicento la nostra zona era infestata dai malfattori.

Agli appassionati di curiosità erudite va segnalata un epigrafe mai incisa nel marmo. Fu composta dal padre Grimaldi utilizzando solo parole comincianti con la lettera V o con la U che nella grafia usata nelle lapidi diventa V. Eccola:
Viator Veni Vide
Varias Vicissitudines Volubiles Vitae Vanitates
Vesustissimus Venustissimus Vixi Vesevus
Virentissimus Vernantissimus
Validissimis Viris Vberrimus
Vbi Vero Vindice Vniversa Vientis Voluntate
Viscera Vomui Vulcania Vndosa
Virulenta Voraginosa
Valde Velociter Viros Voravi
Vndique Vineta Vierta Vicinas Vrbes Villa Vastavi
Vellem Videns Vltricem Vindictam Vitares Vltimam
Ventris Veneris Vacuus Voluptatibus
Veram Vniversi Vitam
Verendo Venerando
Ossia: O viandante, vieni, vedi le varie vicende accadute e le volubili vanità della vita. Io, Vesuvio, vissi molto a lungo, bellissimo, tutto verde, fertile, fecondo di uomini molto forti. Ma quando, per volonta punitrice di Colui che tutto vede, vomitai le mie viscere vulcaniche, ondose, pestifere, vorace come un avvoltoio divorai fulmineamente gli uomini dovunque devastai vigneti, campagne, città vicine e villaggi. Vorrei che tu, libero dalla voluttà dei sensi, vedendo (questa catastrofe) evitassi l'estrema vendetta, rispettando e venerando Colui che è la vita vera del mondo.

Nel 1660, il porticese Fonzichiello fabbricò una pistola a ruota semplicissima, poco ornata, ma originale e solida, migliore delle pistoiesi e delle tedesche con la cassa di metallo. La tradizione veniva da lontano. Nel 1322 venne armata in Portici una cocca di seicento tonnellate, con cinque bombarde, centoventi proiettili e tredici barili di polvere.

Nel 1680, Benedetto caccini, vissuto a Firenze ma di origine porticese, fu il primo a studiare i sintomi della cacosmia (cattivo odore), un disturbo dell'olfatto.

Nel 1697, cominciò la costruzione del convento alcantarino di San Pasquale al Granatello. Uno dei terreni fu ceduto a basso prezzo dal contadino Donato Gambaraso, al quale era venuto in sogno un frate scalzo e smagrito, che chiedeva l'elemosina.
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